Auto gratis con il “carvertising”? Occhio al raggiro

L’auto privata come mezzo pubblicitario per guadagnare? In Italia non si può, è vietato dalla legge, e le truffe sono dietro l’angolo

Nell’economia che si fa sempre più condivisa c’è una pratica che da qualche anno promette ai privati di guadagnare facendo della propria auto un mezzo pubblicitario. Si chiama “carvertising”, unione delle due parole “car” ed “advertising”, cioè rispettivamente “auto” e “pubblicità” ed è un sistema diffuso negli USA ed in diversi Paesi d’Europa.

In sostanza, un privato sottoscrive un contratto con una concessionaria pubblicitaria per mettere a disposizione la carrozzeria della propria auto su cui verrà apposta una grafica pubblicitaria tramite la tecnica del “wrapping”. Questa potrà cambiare ogni volta che la concessionaria lancerà una nuova campagna per conto di un inserzionista, tipicamente un’azienda o un’attività commerciale. In cambio dovrà offrire alcune garanzie, come un chilometraggio annuo minimo e la manutenzione in buono stato dello spazio pubblicitario. Alcune aziende richiedono addirittura di postare una quantità prestabilita di foto o “selfie” sui social network.

Altre formule di carvertising addirittura offrono un’auto gratis in cambio del versamento di una quota di iscrizione. In questo caso il sospetto che dietro l’offerta allettante si nasconda la truffa è molto alto. Una regola d’oro da seguire per evitare i raggiri, in ogni ambito, è che non si deve mai pagare per una promessa di guadagno.

Nella maggioranza dei casi, infatti, si tratta di vendite piramidali proibite per leggecome insegna il “caso Dexcar” di cui ci siamo occupati di recente. Se viene accertato dalle autorità che si tratta di uno schema piramidale o multivello, l’azienda viene chiusa e recuperare i soldi versati sarà molto difficile. L’alto numero di siti web oscurati o chiusi di servizi di carvertising non fa che alimentare i sospetti che si tratti di un business poco affidabile per chi è in cerca di guadagni facili.

In ogni caso, in Italia la legge vieta ai privati la pubblicità sulle auto per conto terzi. Lo dice l’articolo 23 del Codice della Strada e il regolamento di attuazione (Decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495), che all’articolo 57 comma 1 specifica che «L’apposizione sui veicoli di pubblicità non luminosa è consentita […] unicamente se non effettuata per conto terzi a titolo oneroso. […] Sulle autovetture ad uso privato è consentita unicamente l’apposizione del marchio e della ragione sociale della ditta cui appartiene il veicolo», mentre il comma 2 recita: «La pubblicità non luminosa per conto terzi è consentita sui veicoli adibiti al trasporto di linea e non di linea, ad eccezione dei taxi […]».

Ciò significa che in Italia solo le auto aziendali possono esporre messaggi pubblicitari e limitatamente alla loro attività, oltre ai mezzi di trasporto pubblici e i taxi e alle auto da corsa. Guadagnare semplicemente guidando, dunque, è al momento possibile solo ai piloti professionisti.

fonte

Truffa milionaria sui mutui Il pm chiude la maxi inchiesta

False perizie per «gonfiare» dei prestiti mai rimborsati Verso il rinvio a giudizio di tre immobiliaristi bresciani  Irrisolto il nodo delle presunte complicità di alto livello

False perizie e stime «gonfiate»: era un giro milionario

False perizie e stime «gonfiate»: era un giro milionario

Perizie compiacenti avevano trasformato dei ruderi in case di lusso gonfiando in modo fraudolento il valore degli immobili. Attraverso acquirenti di comodo, riuscirono a ottenere dalle banche mutui rimborsati poi solo in minima parte. In questo modo truffarono dieci istituti di credito e riuscirono ad intascare cinque milioni di euro attraverso 42 raggiri messi a segno nel Cremonese e nel Bresciano dal giugno del 2006 fino all’estate del 2011.
Ora la procura ha chiuso l’indagine nei confronti di settanta indagati, tra cui cinque professionisti finiti un anno fa in manette nell’ambito dell’inchiesta «Domus» della Guardia di finanza di Cremona, coordinata dal sostituto procuratore Fabio Saponara. Fra i presunti registi della truffa figurano un immobiliarista di Rovato e due di Manerbio. Per loro e altre 67 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, si va verso la richiesta di rinvio a giudizio. Dieci venditori degli immobili al centro della truffa – uno residente in Franciacorta e tre nella Bassa – sono usciti dall’inchiesta. Assistiti dall’avvocato Paolo Carletti, hanno dimostrato di essere stati vittime e non complici del raggiro, ha detto l’avvocato Paolo Carletti. Il blitz scattò nel maggio del 2013, quando furono arrestati Cristian S. e la sua compagna Simona D., entrambi residenti a Ostiano. In cella finirono anche i titolari di tre agenzie immobiliari: Stefano B. e Mario S. di Manerbio e Pierluigi T. di Rovato. Tutti sono attualmente in libertà.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il meccanismo della truffa era semplice «ma – si leggeva nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip, Guido Salvini -, seriale e portata avanti con grande capacità organizzativa in un momento in cui era facile accendere mutui». Individuate le case da acquistare, generalmente immobili fatiscenti, i titolari delle agenzie stilavano false perizie di stima. Poi assoldavano i compratori fittizi, pregiudicati o sinti reclutati nei campi nomadi di Pavia, come Athos, 30 anni, nipote di Mafalda, «la regina dei rom» morta nel ’77. Contraffatte erano anche le attestazioni di reddito degli acquirenti di comodo.
OTTENUTO IL MUTUO, gli immobiliaristi intascavano la differenza fra il prezzo reale e quello gonfiato, ne consegnavano una parte ai complici neointestatari della casa che nel frattempo si erano resi irreperibili, interrompendo il rimborso del prestito fondiario. Quarantatre gli episodi contestati: fra questi compravendite ad Alfianello, Cerveno, San Gervasio, Urago d’Oglio, Verolanuova, Pontevico, Seniga, Borgo San Giacomo, Gambara, Milzano, Comezzano-Cizzato, Rovato e Palazzolo.
Nell’indagine restano alcuni punti oscuri. «Non vi è dubbio alcuno che gli indagati, per portare a compimento la truffa – ha scritto fra l’altro il Gip -, potevano contare stabilmente su non ancora individute complicità di funzionari di banca, promotori finanziari, professionisti incaricati della stima degli immobili nonchè sui notai incaricati di redigere i contratti».

R.PR.